I gioielli della Badia di Pattano
La Badia di Santa Maria di Pattano è un luogo significativo del paesaggio culturale del territorio cilentano. Avvicinandosi al sito l'attenzione viene subito catturata da quello che a prima vista potrebbe sembrare un campanile che svetta all’interno di quella che oggi appare come una sorta di masseria fortificata, circondata da un terreno oggi coperto in gran parte da ulivi secolari, piantato ad agrumi, ad orto o incolto.
La Badia di Santa Maria di Pattano è stato monastero fondato dai monaci mediorientali che, per sfuggire alle persecuzioni iconoclaste iniziate nell'anno 726, giunsero nel meridione d'Italia e, risalendo la Calabria o approdando a Velia si stabilirono in questo territorio. La scelta del sito della Badia fu favorito dal fertile terreno, dalla abbondanza di acque e dalla presenza di strutture antiche, nello specifico una villa rustica romana risalente alla prima età imperiale, di cui vennero reimpiegate diverse componenti sia in fondazione che in elevato della muratura. Il documento più antico che fa traccia del cenobio, riportato dallo storico settecentesco Antonini, Barone di San Biase, ne attesta l'esistenza nel 993 e fa emergere una certa importanza e un certo prestigio, del cenobio e dei suoi monaci, all'interno del contesto territoriale. Il progressivo evolvere e fiorire di tale monastero, fino all'importanza assunta intorno all'anno mille, fu dovuta anche alla venerazione verso San Filadelfo da Pattano, un eremita o uno dei primi egumeni del cenobio (a cui è dedicata la piccola chiesa omonima ove sono stati rinvenuti gli orecchini di cui a breve diremo) il quale può ipotizzarsi fondatore del monastero.
La Badia prosperò, anche per la saggia amministrazione dei suoi egumeni che godevano di grande prestigio per sapienza e santità di vita: si osserva come nel 1368 un monaco, Iacobus de Patano, venne chiamato a Grottaferrata direttamente da Papa Urbano V per reggere quel monastero eretto da San Nilo. La presenza del cenobio di S. Maria di Pattano è attestata fino alla seconda metà del XV secolo nel Liber visitationis di Athanansios Calkeopoulos di metà Quattrocento. Questo codice, conservato oggi presso la abbazia di Grottaferrata, raccoglie i verbali delle visite ordinate dal Papa Callisto III e dal Cardinale Bressarione, alto protettore dell'Ordine di San Basilio, che iniziano il primo di ottobre del 1457 in Calabria e terminano il 5 aprile 1459 proprio a Pattano, censendo settantotto monasteri di rito greco ancora officiato in Italia meridionale. Quando giunsero i visitatori si trovarono di fronte una situazione di decadenza spirituale, morale e materiale che portò alla soppressione del monastero con la bolla di Callisto III del 1457. Nel Liber troviamo anche un inventario di quanto i visitatori apostolici rinvennero, tra cui risaltano una cospicua biblioteca con testi liturgici bizantini, tre strumenti musicali (salterio) e diversi oggetti di oreficeria di cui nulla è però a noi pervenuto.
In quo monasterio inveniuntur bona introscripta: triodia duo, stiyerarium unum, anastasima duo, psalteria duo, psalterium unum, glosatum, condacari unum, tipico duo, fotagogari unum, proficias duas, ayiopolitis una, anastasimum unum, minea tria, legendarium unum, stiyerarium unum, paraclitico unum, evangelia duo, epistula una, missalia tria, ecchologium unum, catanictico unum, vita patrum; casse II pezi di scarstafi xv, mitrie II, calix unus de argento, calix unus de piltro, chomali dui, planecte III, tonicelle II, tobagle XVII, grochiu una, copertorium unum de altaro, stole II, manipuli III, par unum vestimentorum alborum, carpitinicte II, cone II, scrignu unu cum certis reliquiis, scrigni dui, lectu I fornito, bucte XIII, mataracia duo, cultra 1, bacile unu de rame, lucerne III, mataracium unum de lana et unum de pennis, paro unum lintheaminum, carpita I, guardanappi II , tobagle Il de tabola, scrigni dui, tobagle II de fache, pezi XVIII de piltro, curtellu unu, serra una, zappa l, zappula I, pato unu de ferro, runca I, cugnte Il, achecta una, martello I, paro I de tinagle, cardu unu, casse II, balastea una. E in quel monastero si trovano i seguenti beni: due anastatici, due salteri, un salterio glossato, un condacario, due tipici, un fotagogario, due profici, un'aiopolita, un astatico, tre minei, un legendario, un stiyerario, un paraclito, due vangeli, un'epistola, tre messali, un ecologio, un catanittico, una vita dei Padri; due casse, 15 pezzi di scartafacci, due mitre, un calice d'argento, un calice di peltro, due comali, tre pianete, due tonicelle, 17 tovaglie, un grochiu, una coperta d'altare, due stole, tre manipoli, un paio di vesti bianche, due tappeti, due icone, due scrigni, con reliquie, altri due scrigni, un letto completo, tredici bucte, due materassi, un coltello, un bacile di rame, tre lucerne, un materasso di lana e uno di penne, un paio di tele un tappeto, due guardanappi, due tovaglie da tavola, due scrigni, due tovaglie da fache, diciotto pezzi di peltro, un coltello, una sega, una zappa, una zappetta, un palo di ferro, una roncola, due cugnate, un accetta, un martello, un paio di tenaglie, un cardo, due casse, una balestra.
Sempre nel Liber vi sono gli interrogatori dei monaci che, raccontando delle malefatte dell’egumeno Elia, riferiscono di una preziosa mitria da cui avrebbe tolto gli smeraldi dicendo di volerli applicare ad una croce: cosa che, da come lasciano intendere i monaci ascoltati, Elia non avrebbe fatto
Item dixit quod dictus abbas destruxit quamdam mitriam, a qua expulsit certos smaldos, et dixit quod volebat ponere in cruce. Inoltre ha affermato che l'abate ha disfatto una mitra per ricavarne smeraldi dicendo di volerli applicare ad una croce.
Come indicato dalla bolla papale il Re di Napoli Ferdinando I affidava l'abbazia a Giovanni d'Aragona, quarto figlio del Re e di Isabella di Taranto, scomparso nemmeno trentenne a causa della peste nel 1485, a Roma. Vista la sua giovanissima età la Badia di Pattano fu data in gestione nel 1465 a figure a lui vicine. Da questi passò, fino al 1489, a Giovan Battista Petrucci, figlio del primo ministro del re e arcivescovo di Taranto e, proprio a quest'ultimo, si potrebbe, in ipotesi, ascrivere l'introduzione a Pattano del culto di San Cataldo a cui fu elevata anche una cappella poi dedicata alla Vergine del Rosario a ricordo della Vittoria di Lepanto: ancora oggi San Cataldo è il compatrono di Pattano ed il suo culto è molto sentito. Dopodiché la Badia passò in commenda alla famiglia Carafa ove non mancarono contrasti tra i vari rami sulla sua assegnazione, passando tra diversi ecclesiastici della famiglia stessa. Si arriva così ai primi dell'Ottocento ove, a seguito dell'eversione della feudalità del decennio Francese, il sacerdote Agostino Giuliani e la famiglia Giuliani acquisirono il complesso e parte dei terreni di pertinenza. La famiglia Giuliani trasformò la badia in fiorente fattoria e operando trasformazioni dei fabbricati tese ad adattare la parte abitabile alle esigenze di casa di campagna per una famiglia benestante, nonché delle famiglie contadine che lo abitavano. Il culto di San Filadelfo fu in un certo qual modo perpetrato, fino agli anni Venti del secolo scorso - su iniziativa della famiglia Giuliani - con notevole incidenza nella tradizione religiosa popolare locale. Il complesso restò in completa proprietà degli eredi Giuliani fino ai primi anni '60 del secolo scorso, pur mantenendo nei decenni successivi, una destinazione abitativa e agricola ancora vivide nella memoria di chi ha vissuto quei luoghi in quel periodo. Colono dei Giuliani fu Anacleto De Luca, coltivando i fondi a tabacco, agrumi e ortaggi che venivano anche venduti al mercato domenicale di Vallo della Lucania, come è stato lungamente d'uso tra i piccoli contadini locali. Man mano che gli eredi Giuliani vedevano le proprie porzioni Anacleto De Luca ne acquistò alcune, abitando il complesso con la sua famiglia fino alla seconda metà degli anni Dieci del secolo attuale. Durante gli anni '70 subentrò anche un ulteriore proprietario il quale, informato della imminente apposizione di un vincolo da parte della Soprintendenza, iniziò a demolire la preziosa chiesa di S. Filadelfo con l'intento dichiarato di costruirvi una villa. Lo scempio fu sventato grazie all'intervento immediato di Pietro Ebner e l'accaduto rivestì interesse nazionale anche nelle sedi parlamentari. Purtroppo però una nuova furia iconoclasta si era abbattuta, causando la perdita di parti significative degli affreschi tra cui il volto della Vergine di cui fortunatamente ci rimane, almeno, un'unica rappresentazione fotografica.
Nelle immediatezza dei gravi accadimenti l'Ing. Luigi Giuliani acquistò la chiesa di San Filadelfo e iniziò a realizzare primi interventi urgenti, dapprima con fondi propri e, più volte nel corso degli anni, con fondi pubblici. Dopo il terremoto del 1980 si realizzarono i primi interventi di consolidamento e restauro. Gli ultimi risalgono al 1998, diretti dallo stesso Ingegnere. Negli interventi dei primi anni '80 emersero delle evidenze archeologiche che indussero ad una campagna di scavo: al di sotto della chiesa di San Filadelfo sono state rinvenute delle sepolture del VI secolo, una delle quali ha restituito degli orecchini in oro; è emersa anche una fase di utilizzo più antica, un edificio termale, probabilmente di una villa rustica romana.
Gli orecchini d’oro della Badia di Pattano furono rinvenuti nel 1981 durante interventi di restauro della Chiesa di San Filadelfo. Nel rimuovere la pavimentazione della navata destra emersero due tombe con un corredo composto da questo paio di orecchini a cestello e due brocchette a monoansate con corpo globulare e ovoidale a bordo sagomato datate fine VI inizi VII sec. d.C. Gli orecchini a cestello sono un tipo di gioiello frequente nei contesti longobardi le cui origini sono però incerte e probabilmente preesistenti alla presenza longobarda. Nel caso che ci riguarda però Si tratta di orecchini formati da una parte superiore a forma di disco, vale a dire l'anello di sospensione, che rimane aperto per poter essere inserito nel foro del lobo. Come si può notare dalle immagini gli anelli di sospensione degli orecchini di Pattano si compongono di una verghetta liscia, dalla sezione circolare, che nella parte superiore tendono ad affusolarsi per consentire l’inserimento nel lobo e, nella parte inferiore, presentano una laminetta pieghettata dalla forma di un rocchetto. A questo anello di sospensione veniva saldato come pendente il cosiddetto cestello, decorato con filigrana (consistente nel curvare e nell'intrecciare filamenti di metallo), granulazioni (consistente nel saldare dei grani di metallo su una lamina secondo un disegno prestabilito) oppure con castoni che potevano contenere pietre preziose o, come nel caso degli orecchini di Pattano, paste vitree. Infine vi è un ulteriore elemento che è quello di rinforzo, costituito da una fascia di chiusura che, nel caso degli orecchini di Pattano, è assente perché sostituita da una piccola sfera metallica di rinforzo, saldata tra il retro del cestello e l’anello di sospensione. Come si può intuire già dal nome, il cestello è l’elemento caratterizzante di questo tipo di orecchini e, gli studiosi, proprio partendo dal cestello hanno proposto delle classificazioni. Gli orecchini con cestello a calice floreale (Tipo 1) i quali hanno una parte inferiore a forma di calice con petali aperti che ricorda un fiore; orecchini con cestello emisferico traforato (Tipo 2) realizzato con la tecnica della filigrana, orecchini con cestello emisferico a capsula piena (Tipo 3), orecchini con cestello a tamburo (Tipo 4) Ulteriore distinzione fatta dagli studiosi distingue gli orecchini del Tipo 2 a seconda di come venivano fissate le perle, con uno o più castoni (Tipo 2a) oppure all’interno di uno o più fili metallici (Tipo 2b). Secondo questa classificazione gli orecchini di Pattano rientrerebbero nel Tipo 2a, poiché il cestello dei due orecchini è formato da quattro sottili lamine rettangolari modellate formando delle volute, rese concave nella parte posteriore e, nella parte anteriore, chiuse o con un filo godronato e uno liscio, con al centro un castone battuto che include un cloisonne di pasta vitrea. Soltanto però di un orecchino si è conservata la perla di pasta vitrea.
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- Luigi Rossi, Vallen in Lucania. Storia di una Diocesi
- Luigi Rossi, Vallo della Lucania
- Maria Rosaria Marchionibus, La Badia di Santa Maria di Pattano
- Vincenzo Cerino, Badia di Santa Maria di Pattano
- Pietro Ebner, Storia di un Feudo del Mezzogiorno. La Baronia di Novi
- Pietro Ebner, Economia e Società nel Cilento medievale
- Cosimo Damiano Fonseca, Longobardi minore e Longobardi nell'Italia meridionale, in Magistra Barbaritas, Libri Scheiwiller (1984)
- Giuseppina Bisogno, Lo scavo nella chiesa di S. Filadelfo a Pattano in Atti del ventisettesimo Convegno di studi sulla Magna Grecia (1987)
- Alessandra Melucco Vaccaro, Oreficerie altomedievali da Arezzo. Contributo al problema dell’origine e della diffusione degli “orecchini a cestello” in Bollettino d’arte (1972), Alessandra Melucco Vaccaro;
- Elisa Possenti, Gli orecchini a cestello altomedievali in Italia, All'insegna del giglio (1994)
- Elio Galasso, Oreficeria medievale in Campania, Museo del Sannio (1969)