La ragazza con l’orecchino di perla

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Gioi

Avvicinandosi al paese di Gioi si rimane affascinati dalla sua posizione, arroccata su ripidi pendii immersi nel verde dell’entroterra cilentano, coi suoi due campanili che ne caratterizzano la sagoma o, per dirla all’inglese, lo skyline. Un posizione dove si domina la Valle dell’Alento che, tanto incantevole quanto strategica, ha costituito la ragion d’essere e la fortuna di Gioi rendendola, durante il medioevo e durante la prima età moderna una realtà operosissima e fiorentissima composta dai casali “la Sala, Salella, Moyo Troyano, lo Vetrale, lo Piano et Ostiglano” a cui aggiungere quelli di “Perito, Cardillo et Pelleri casali dela terra del Yoyo”.

Non è certo una esagerazione l'asserire che in Gioi, e nei suoi deliziosi dintorni, non s'invecchia mai: qui questo cantuccio di mondo è un vero luogo di villeggiatura, bello pel suo squarcio di cielo, bello per l'aria saluberrima e balsamica, che ci si respira. Essa è tanto trasparente ed elastica, che da qualsiasi punto su ogni cosa si vede con la massima precisione!.. E insomma un immenso panorama spiegasi innanzi allo sguardo estatico dell'osservatore; è una mirabile prospettiva che non à pari, e che fa esclamare, con la mente rapita:

Stanco di mirar, non sazio ancora. 



da “L'antica Gioi” di Giuseppe Salati - 1911

Il Convento di San Francesco

Al tempo di edificazione del Convento di San Francesco, l’economia era quella di una comunità legata ad attività agro-silvo-pastorali con le produzioni tipiche dell’area: frumento, vino, olio, ghiande, oltre alle lavorazioni di pannilana e del cuoio, nonché la produzione della pregiata seta locale venduta nelle due Fiere di San Giacomo e quella della Croce presso cui giungevano anche genovesi, fiorentini, senesi e perfino francesi. Un commercio fiorente che portò nel 1492 tal Vitale di Salomone, un ebreo di Salerno, a richiedere al capitano di Gioi di “porre banco in questa Terra del Yoyo”. E in questa fiorente Terra nel 1466 ebbe inizio l'edificazione del Convento di San Francesco che rimase attivo per oltre tre secoli quando fu soppresso nel Decennio francese da Gioacchino Murat. Tre secoli di vita consacrata e di assistenza materiale e spirituale da parte degli Osservanti che ancora oggi, con un po’ di immaginazione e suggestione, possiamo immaginare passeggiare nei loro saii nel chiostro del convento, luogo di pace e silenzio, dove si possono ancora contemplare gli affreschi che narrano la vita del poverello di Assisi. A testimonianza dell’importanza dell’antica Gioi si deve sottolineare che non fu nemmeno fu l’unico convento; difatti nel 1520 prese avvio la costruzione del monastero di Santo Jacovo, ultimato poi nel 1526, e descritto a metà Settecento dal Barone Antonini come un “antico, nobile e ricco Monistero di donne ove le più cospicue famiglie del Cilento tengono le loro figlie”.

 

FOTO CONVENTO - CHIOSTRO

 

Ed è proprio nel Settecento  che viene ampliato il Convento con la costruzione della chiesa di San Francesco, oggi non più adibita al culto e in gran parte spogliata dei suoi arredi ma al cui interno permangono tracce significative come i suoi stucchi tardo barocchi, la cassa lignea del maestoso organo settecentesco degli organari Carelli di Vallo della Lucania, o ancora il pulpito o l’altare lignei. 

L'orecchino di perla

Camminando nella navata principale della Chiesa del convento di San Francesco a Gioi ci si imbatte guardando in basso in alcune piastrelle maiolicate, belle e terrificanti allo stesso tempo, che raffigurano una donna, metà giovane e sorridente e metà scheletro contornata da una iscrizione in lingua volgare.

 

 

Più Bella Fui Più Brutta sono/O Inferno O Penitenza/Eliggete/ O momentaneo/diletto in questa/vita O Eterno/tormento nel altra/vita O mai, mai/e poi mai/O Sempre, Sempre/e poi Sempre/O godere/O patire/Rècipe

 

Ci troviamo al cospetto di un memento mori - espressione latina che significa “ricordati che devi morire” - vale a dire un’opera d’arte usata per invitare le persone a riflettere sul senso della vita, a distaccarsi dai beni materiali e dalla loro caducità e a prepararsi al giudizio divino tra salvezza o dannazione eterna. I memento mori erano presenti sia in ambito profano che ecclesiastico e si sostanziavano in affreschi, dipinti, sculture, miniature, libri ed elementi architettonici ove si rappresentavano teschi, scheletri, orologi, candele spente o fiori appassiti, come simboli del tempo che passa e della fragilità dell'esistenza e della vanità umana. 

 

Anche qui la donna è rappresentata nel massimo della sua bellezza e della sua vanità: bella, sorridente, ben vestita e con dei fiori nella mano destra. Dall’altro lato il corpo scheletrito, scarno di ogni accessorio. Nella metà vivente la giovane donna veste in tipo abito en vogue nel Cinquecento, espressione del rinascimento italiano e dell'Italia del sud che filtrava tutte le tendenze dal Nord Europa e dalla Spagna, con un abito che, a differenza delle figure affusolate dei secoli precedenti, andava ad esaltare le forme femminili, materne e muliebri e si andava a sancire il distacco della gonna dal resto dell’abito. Così su un corsetto attillato, con scollatura squadrata con fili incrociati presumibilmente in oro o impreziositi, va a stringere sul ventre per esaltare l’ampia la gonna, secondo la moda del verdugale di origine spagnola, ove la gonna viene gonfiata con degli accorgimenti che nei secoli successivi diverranno delle vere e proprie strutture (farthingale) che le nobildonne indosseranno al di sotto della gonna vera e propria. Anche i colori dell’abito della nobildonna rappresentata in queste maioliche sono d’uso frequente: il colore alessandrino (turchino cupo) o colore di cielo, utilizzate anche le sfumature dell'aerino e dello sbiadito, così come molto usate varie tonalità di giallo, dal più chiaro e splendente giallo oro, passando per il giallognolo schizzo d'oca fino al più scuro piè d'oca. Un abito in pieno accordo con le leggi suntuarie e lo stile del tempo che voleva il costume armonioso e in sintonia del colori naturali che riflettevano compostezza d'animo e sobrietà. Da notare inoltre il copricapo, altrettanto vistoso e decorato, trapuntato con fili di perle o pietre semipreziose. La struttura di questo genere di copricapo, accessorio tipico delle donne sposate, si ergeva sopra i capelli raccolti e intrecciati, talvolta racchiusi in retine coronando la fronte e che ricadevano sulle spalle all'indietro. 

 

Non meno importante eppure passerebbe quasi inosservato troviamo un orecchino al lobo destro della donna. È un orecchino pendente, composto da tre elementi agganciati fra di loro. Molto probabilmente si tratta di perle e pietre incastonate come d'uso dell'oreficeria dell'epoca. Era usuale infatti trovare orecchini pendenti di questa foggia, molto spesso con amo, perle barocche e sassi amorfi di ametiste, granati o cristalli di rocca. Molto spesso tra l'amo e la goccia finale vi era un elemento di raccordo metallico o inciso o cesellato, tipico dello stile fiorentino rinascimentale. Dal costume e gli accessori indossati capiamo che si tratta di una nobile donna. Sia per ricchezza degli ornamenti sia per la loro ricercatezza. Per quanto riguarda le stoffe per ottenere questi tipi di materiali, tinture con pigmenti e minerali naturali bisognava fare parte di una classe abbiente e borghese. Come anche per l'acquisto di materie preziose e oggetti di lusso come i gioielli.

 

Per quanto diffusa la presenza di memento mori all’interno dell'Area del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni non sono note altre rappresentazioni simili a questa della Chiesa di San Francesco a Gioi, ma si tratta di una iconografia presente nel resto d’Europa e nella Americhe.

 

 

Allegory of mortality, with a standing woman before a pyramid, her left half in fashionable clothing, the right half a skeleton holding an arrow. 1784 Etching and engraving with hand-colouring.

 

© The Trustees of the British Museum



https://www.britishmuseum.org/collection/object/P_1935-0522-3-54

 

 

"Gedenck O Mensch Sich wer Du bist/Wie ungleich Dott und Lebendig ist"

 

Germania, XVIII secolo, autore ignoto, 

author, Public domain via Wikimedia Commons.

Bibliografia

   

Indicazioni per la fruzione

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