L'acconciatura della Vergine di Laurito
Quando si giunge a Laurito occhio attento non può che apprezzare la strada che attraversa il paese la quale ha conservato una pavimentazione in pietra, cosa questa non solita ed eccezionale anche in considerazione che è parte della vecchia Strada Statale 18 -Tirrena Inferiore - vale a dire la principale strada di collegamento tra Reggio Calabria a Napoli costeggiando la costa tirrenica, soppiantata soltanto nel 1967 con l’apertura del primo tratto dell’Autostrada Salerno-Reggio Calabria fino a Lagonegro, nel 1969 Cosenza e l’anno successivo Gioia Tauro. L’Autostrada però non attraversò più il Cilento ma percorrendo un altro tracciato, che attraversa sempre il Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, ma riprendendo sostanzialmente della Strada Statale 19 delle Calabrie che attraversa l’Appennino meridionale seguendo parzialmente il tracciato della strada consolare Capua-Reghium, la cosiddetta Via Popilia, dal nome del console romano che la costruì, così come testimoniato dalla Lapide di Polla risalente al II secolo a.C. Dalle visite pastorali diligentemente riportate da Pietro Ebner sappiamo che nel 1902 Mons. Jacuzio giunse a Laurito "in curribus" cioè in cocchio, percorrendo la Statale 18, che si chiamò così solo nel 1928 essendo prima titolata Strada Regia delle Calabrie, impiegando 4 ore.
FOTO Stradario 1900
Viaggiare in carrozza o in cocchio era un’esperienza comune per molti italiani nei primi decenni del Novecento. Chi poteva permetterselo si serviva di una carrozza di proprietà o di un calesse noleggiato, trainati da uno o due cavalli, chi invece aveva meno mezzi, si affidava ai vetturini, che offrivano il trasporto di persone e merci con carretti o carri trainati da asini o muli. Questi mezzi erano più lenti e meno confortevoli, ma anche più economici e resistenti. La regolamentazione della circolazione dei veicoli a trazione animale in Italia nei primi del 1900 era piuttosto frammentaria e variava a seconda delle regioni e dei comuni. Una delle prime norme in tema fu la legge 20 marzo 1865, n. 2248, che stabiliva alcune regole sulla velocità e il corretto comportamento per i conducenti dei veicoli a trazione animale. In particolare, la legge prevedeva che vi era la necessità di una patente rilasciata dal Sindac, che la velocità massima consentita fosse di 10 chilometri orari nelle città e di 15 chilometri orari nelle campagne, salvo diversa disposizione delle autorità locali, che bisognava mantenere la destra, che bisognava aver cura degli amimali e a non sottoporli a sofferenze o maltrattamenti. Aspetto quest'ultimo che ci piace evidenziare in questo nostro viaggio nel Cilento con gli occhi dell'orafo poiché il nostro Santo patrono, Santo Eligio Vescovo, è anche protettore dei maniscalchi e degli equini. Quando il vescovo Jacuzio giunse a Laurito su quella strada lastricata che oggi il nome di Corso Umberto I trovò uno scenario diverso rispetto a quello che vediamo oggi. Come ci testimoniano queste immagini d'epoca a quel tempo vi erano diverse torri, come l’imponente torrione angolare (del non più esistente palazzo della famiglia dei Monforte, suffeudataria di Laurito) oppure la torre del palazzo della famiglia a Pecorelli che, occupando parte della via pubblica, abbattuta a fine del XIX secolo per far spazio alla nuova strada Cuccaro-Sanza. O ancora la torre dell’orologio del palazzo del Decurionato - che nell’Ottocento era il governo cittadino- abbattuto durante il fascismo per ricostruire un nuovo municipio sempre con torre, abbattuto poi a seguito del terremoto del 1980, lasciando la piazza come oggi la vediamo.
FOTO BIANCO E NERO TORRI
Le visite pastorali riportate da Pietro Ebner narrano di un'ulteriore viaggio in carrozza di Mons. Jacuzio a Laurito, nel 1911, dove troviamo una piccola descrizione della chiesa di San Filippo d'Agyra, vescovo e martire siciliano e patrono del paese. La chiesa conserva al suo interno una cappella gotica, precedente alla chiesa stessa che l'ha poi inglobata, al cui interno vi sono degli affreschi di grande fascino e grande interesse su cui ora ci soffermeremo.
"In hac ecclesia exstant aliquae picturae super parietibus quae, uti dicitur, valent multo ac vetustae sunt, forsan tempore dominii graecorum effectae fuere"
Questi antichi affreschi di grande pregio vengono dal verbalizzante ricondotte al tempo dei monaci italo-greci, quando il territorio non era latinizzato il cristianesimo di queste terre e del meridione guardavano ad oriente, da dove provenivano i monaci italo-greci che si sono insediati nel Cilento, molti dei quali passando prima per la Sicilia da cui fuggirono nel IX secolo con le invasioni saracene, come probabilmente è avvenuto con la comunità cristiana della cittadina di Agira, che giunse fin qui insediandosi e dando vita a quel paese che oggi conosciamo come Laurito. La prima notizia documentata che menziona "in loco laurito" è una pergamena del 947 che tratta per l'appunto di donazioni legate alla presenza di monaci italo-greci. Ciò nonostante gli affreschi non sono del periodo bizantino, ma realizzati alla fine del XV secolo e potrebbero essere opera di un pittore locale. Negli affresci troviamo presente anche la committenza, rappresentata nelle figure dei Magi poste in mezzo a San Giacomo maggiore e a San Giacomo minore, che potrebbe ascriversi al feudatario del tempo, Jacobello Monforte.
La Virgo lactans è incorniciata in un drappo damascato porpora con motivi vegetali, lo stesso fondo che troviamo nell'altra rappresentazione della Vergine che qui torniamo, quella dell'Annunciazione. La Madonna del Latte, col suo manto azzurro polvere emerge nella sua regalità divina, ha un abito con vita alta in rosso carminio, con un bandeau sulla scollatura appena pronunciata, tutto merlettato come una trina cucita ed impreziosita di fili argentei a motivi quadrilobati. Simile decorazione appare anche sulle vesti del bambino ma con motivi cruciformi.
FOTO PARTICOLARE VERGINE
Nel periodo tardomedievale fino al gotico e poi nel Rinascimento vi era una grande attenzione al capo delle donne. La testa era affermazione di bellezza, una bellezza esteriore e interiore,dove anzi la bellezza interiore veniva riflessa da quella esteriore.
Perciò si soleva scoprire la fronte e lasciar vedere la pelle bianca e le guance rosse, espressione di gentilezza e virtù morali. Di gran moda le carnagioni chiare e i capelli biondi o rossi tanto da influenzare le donne dei secoli successivi a sottoporsi ad innumerevole torture per modificare il proprio aspetto, a modificare la propria carnagione e il colore di capelli con impacchi e tinture naturali come zafferano, radice di liquirizia e finanche l'uso della calce per sbiancare le pelli. Di gran moda erano anche le acconciature sciolte libere da strutture o grandi ornamenti.
In particolare modo per le donne sposate o appartenenti ad un ceto sociale alto.
Per le fanciulle non spose o le popolane i capelli andavano raccolti in retine o copricapi in lino o cuffie e veli detti anche "panicelli"
Abbandonata ormai la pratica dello scorticatolo che prevedeva l'epilazione della fronte ,il viso ritrova una rinnovata naturalezza e candore, esaltato ancora di più da una marcata fila al centro, una scriminatura centrale che divideva in due le chiome.
Come nel caso della Madonna di Laurito.
Il suo capo è sovrastato da una cerchia aurea e in testa porta sulla capigliatura una banda che cinge la capigliatura sciolta con fila al centro del capo.
Poteva essere un laccio impreziosito con al centro una rosetta a 5 petali dati da margaritas cioè da perle le stesse perle si ripetono lungo tutto il laccio distanziate fra di loro.
Questi tipi di lacci o stringhe che presero il nome poi nel secolo successivo come "ferronière" dal famoso dipinto di Madame Ferron di Leonardo da Vinci, furono uno degli ornamenti più utilizzati sia da donne che da uomini, come vediamo sul capo dell' arcangelo infatti.
Queste lenze potevano essere di seta, di velluto e servivano a valorizzare proprio la riga marcata fra i capelli e nella parte dove la fila incontrava la fronte per conferire ulteriore luminosità si fissavano delle perle, dei diamanti o altri elementi decorativi.
Giuditta Pace, Laurito un paese del Cilento, GAL Casacastra (2014);
Silvia De Luca, Gli affreschi in San Filippo d'Agyra nel contesto della pittura cilentana della seconda metà del XV secolo, appendice in Giuditta Pace, Laurito un paese del Cilento, GAL Casacastra (2014);
Silvia De Luca, Il maestro dell'Incoronazione di Eboli, ovvero Pavanimo Panormita, in PARAGONE Rivista mensile di arte figurativa e letteratura fondata da Roberto Longhi, Anno LXXI - Terza serie - Numero 152 (845) Luglio 2020;
Amedeo La Greca, Antonio Capano, Giovanna Baldo, Laurito. Note di Storia antica e moderna, Edizioni del Centro di Promozione Culturale per il Cilento (2014)
Jole Mazzoleni, Notizie per la storia di Laurito e della famiglia Monforte (1344-1770), in Rassegna Storica Salernitana (1951)
ff